Italo Calvino “Le Cosmicomiche”

Combinando in una sola parola i due aggettivi cosmico comico ho cercato di mettere insieme varie cose che mi stanno a cuore”

Con il titolo Le Cosmicomiche sono raccolti 12 racconti apparsi nel ‘64 sulla rivista “Il  Caffè” e poi pubblicati da Einaudi nel 1965.

Nelle Cosmicomiche la voce narrante è di Qfwfq, un essere senza tempo e senza specificità, è tutto ed è stato tutti gli stadi e gli esseri della metamorfosi del Cosmo; è il Cosmo stesso nella sua unitarietà, antropomorfizzato nell’infinita varietà delle specie. È con il linguaggio delle immagini che Qfwfq spiega con vivezza un concetto scientifico difficile come quello dell’unità primigenia: che ci potesse essere lo spazio, nessuno ancora lo sapeva. E il tempo idem: cosa volete che ce ne facessimo del tempo, stando lì pigiati come acciughe? Ho detto pigiati come acciughe tanto per usare un’immagine letteraria; in realtà non c’era spazio nemmeno per pigiarci. Ogni punto di ognuno di noi coincideva con ogni punto di ognuno degli altri in un punto unico che era quello in cui stavamo tutti.

Le Cosmicomiche hanno evidenziato che si possono creare storie capaci di suggestioni, come quelle che caratterizzavano i miti dell’antica Cosmogonia; hanno dimostrato che si può raccontare ciò che la fantasia sa vedere partendo dall’enunciato scientifico che precede ciascun racconto.

Costruite per immagini, appartengono al vedere con l’occhio della mente immaginifica: sono intatti una fantasmagoria che permette al lettore di vivere in mondi che la scienza ha pensato possibili e che la prosa lirica di Calvino ha reso accessibili anche attraverso un richiamo ad epiche imprese di antichi eroi.

In Senza colori ad esempio l’immaginario mitico è evidente: il raccontato richiama rapidamente nella memoria del lettore il mondo degli inferi, il mondo del buio, nell’indistinto grigiore della Terra priva di atmosfera. Una novella Euridice si ripropone nelle pagine di Calvino che racconta un’era primordiale senza luce e senza colori; eppure in questo grigiore e in questa uniformità la prosa sapiente di Calvino canta e offre immagini di struggente grigia bellezza.

Era l’epoca in cui il mondo stava provando le forme che avrebbe preso in seguito: le provava col materiale che a\veva disponibile, anche se non era il più adatto, tanto restava inteso che non c’era nulla di definitivo: Alberi di lava color fumo protendevano contorte ramificazioni da cui pendevano sottili foglie di ardesia. Farfalle di cenere sorvolando prati d’argilla si libravano sopra apache margherite di cristallo. Ayl poteva essere l’ombra incolore che si dondolava da un ramo dell’incolore foresta, o che si chinava a cogliere sotto grigi cespugli grigi funghi.

Un’ironia leggera invece scorre dentro Anni luce e si sofferma ad indagare lo sconcerto del protagonista quando viene raggiunto da un messaggio datato; eppure l’anatema biblico che contiene non è smorzato dall’enorme distanza che potrebbe renderlo dominabile:

Una notte osservavo come al solito il cielo col mio telescopio. Noto che da una galassia lontana cento milioni di anni luce sporgeva un cartello. C’era scritto TI HO VISTO. Feci rapidamente il calcolo: la luce della galassia aveva impiegato cento milioni di anni a raggiungermi e siccome di lassù vedevano quello che succedeva qui con cento milioni d’anni di ritardo, il momento in cui mi avevano visto doveva risalire a duecento milioni d’anni fa. Prima ancora di controllare sulla mia agenda per sapere cosa avevo fatto quel giorno, ero stato preso da un presentimento agghiacciante: proprio duecento milioni d’anni prima, né un giorno più né un giorno di meno, m’era successo qualcosa che avevo sempre cercato di nascondere

Il racconto si snoda quindi dalle possibili e plausibili risposte pensate dal protagonista peccatore fino al moltiplicarsi degli equivoci, senza mai rivelare il peccato originale commesso.

 Salvina Pizzuoli

Dello stesso autore “Se una notte d’inverno un viaggiatore”