Antonio Caiazza “Una storia scomoda.La guerra segreta al film di Luciano Tovoli con Mastroianni sugli italiani in Albania negli anni del fascismo”, Bibliotheka

STORIA INEDITA DI UNA GUERRA DIPLOMATICA PER BOICOTTARE UN FILM DI Luciano Tovoli con MASTROIANNI E CASTELLITTO SULL’ITALIA FASCISTA IN ALBANIA

Il giornalista Rai Antonio Caiazza ricostruisce la vicenda attraverso documenti di archivi italiani, francesi e albanesi. Con lettere degli scrittori Kadare e Agolli

con documenti inediti e lettere degli scrittori Ismail Kadare e Dritero Agolli

Bibliotheka

Dal 5 settembre

Documenti inediti rinvenuti negli archivi diplomatici in giro per l’Europa ricostruiscono una vicenda ancora del tutto sconosciuta, che riguarda il boicottaggio di un film con Marcello Mastroianni, Michel Piccoli, Anouk Aimée e un quasi esordiente Sergio Castellitto. Il film era Il generale dell’armata morta, tratto dal romanzo dello scrittore albanese Ismail Kadare per la regia di Luciano Tovoli. Le riprese erano previste fra il 1980 e il 1982, in Albania, dove i fatti raccontati avvennero realmente. Ma dopo contatti, viaggi e sopralluoghi e il denaro versato alla Banca di Stato albanese, la troupe fu imbarcata su un aereo e rimandata in Italia, senza che fosse girato neppure un metro di pellicola. Ricostruisce questa singolare vicenda Antonio Caiazza, giornalista alla Rai di Trieste particolarmente attento al mondo balcanico, nel libro Una storia scomoda. La guerra segreta al film con Mastroianni sugli italiani in Albania negli anni del fascismo che contiene documenti inediti e lettere degli scrittori Ismail Kadare e Dritero Agolli. Si è sempre attribuita la responsabilità del boicottaggio del film agli albanesi, ma i documenti consultati negli archivi diplomatici raccontano la trama che cercò di bloccare la lavorazione della pellicola. Gli apparati di due grandi democrazie, Italia e Francia, attivarono una notevole pressione nei confronti dell’Albania affinché il film non si facesse. Il motivo: riapriva la pagina dell’occupazione fascista, delle atrocità e delle vessazioni nei confronti delle popolazioni civili, che a Roma si voleva chiusa per sempre.

“In Italia – spiega Caiazza – si erano fatti e si facevano film sulla Resistenza e di denuncia del fascismo. Ma non sul nostro passato coloniale. Il generale dell’armata morta rompeva il silenzio su vicende che l’Italia voleva definitivamente sepolte”.
Il film si fece comunque, fu girato in Italia e uscì nel 1983, ma nel nostro Paese non vide mai le sale cinematografiche.

Antonio Caiazza, giornalista alla redazione Rai di Trieste, ha seguito per anni le vicende Balcaniche per diverse testate. In particolare, all’Albania ha dedicato servizi televisivi, articoli e due libri: In alto mare. Viaggio nell’Albania dal comunismo al futuro (Instar Libri 2008) e il romanzo La notte dei vinti (Nutrimenti 2014), racconto della sanguinosa epurazione che colpì la nomenklatura di Tirana a metà degli anni ’70.

Cecilia Frignani “Lo stupro di massa come arma da guerra”, OLIGO

Una approfondita ricerca storica che spazia dal mondo antico alla contemporaneità. Il corpo della donna vittima delle guerre degli uomini

OLIGO

Dal 5 settembre

Da sempre gli uomini violentano le donne, in particolare quando fanno la guerra, atavica attività maschile, in occasione della quale il corpo femminile diventa terra di conquista. Oggi, lo stupro su larga scala è considerato un crimine contro l’umanità e in questo libro ripercorreremo il lungo percorso che ha condotto la famiglia umana a fare i conti con una violenza tanto cruda. Partiremo da una ricostruzione storico-filosofica per cogliere l’origine latente della violenza di genere, guardando ad Aristotele e Galeno, ma anche alle teorie sulla nascita dell’agricoltura, osservando come nell’antichità la donna fosse considerata un bene a disposizione dell’uomo, un bene che in guerra può (e deve) essere razziato. Con il tempo, lo stupro da effetto collaterale è diventato un’arma vera e propria; a tal proposito esamineremo quanto sul finire del Novecento è accaduto in ex-Jugoslavia e in Ruanda, tristi vicende da cui però ha mosso i primi passi la giustizia internazionale. Concluderemo con un esame sull’attualità della disparità di genere nel mondo, offrendo anche spunti di speranza.

Più volte, man mano che andavo avanti a scrivere le pagine che seguono, mi sono infuriata. Ho letto, raccolto e inserito all’interno di questo lavoro testimonianze agghiaccianti e disumane di tantissime donne abusate e violentate, e fin da subito mi sono domandata del perché, in tutti questi anni di studio, non avessi mai trovato tra le mani un libro di storia che parlasse del calvario delle donne. Da sempre le donne sono vittime di stupri, violenze e fenomeni di schiavismo. Questi fatti in particolar modo sono un elemento costante dei conflitti bellici, antichi, moderni e purtroppo contemporanei.

Cecilia Frignani, giornalista di TeleMantova, ha conseguito la laureata specialistica in Scienze Filosofiche, all’interno della quale ha approfondito gli studi di Filosofia del Diritto.

Giuseppe Cerasa “Sipario siciliano. Storie di donne, passioni, segreti, mafia ed eroi senza gloria”, presentazione

“[…]Speranze e violenze si alternano in queste pagine, vita e morte, luce e lutto, come del resto la storia della Sicilia ci ha insegnato in questi anni,[…]”(dal Catalogo Nino Aragno Editore)

Giuseppe Cerasa, in Sipario siciliano, racconta piccole e grandi storie, edite e inedite sullo sfondo di quasi 70 anni di vicende italiane; un racconto sulla vita quotidiana su cui ricostruire l’identità di un popolo
Giornalista siciliano, nato in un paesino di campagna, deve al suo impegno e alla forza di volontà l’essere assurto alle vette del giornalismo nazionale da  quando ventenne entrò come apprendista a L’Ora di Palermo: e quante storie grandi e piccole,  dalle arti, ai sapori della cultura culinaria più povera, alle Feste, ai mercati rionali della Palermo popolare e quella dei Palazzi del potere!
La Sicilia della corruzione, dell’omertà, delle collusioni tra politica e mafia. Ma non solo: ricordi  di pagine di giornalismo giocate nella quotidianità di fatti anche efferati, come l’omicidio Dalla Chiesa, raccontato in pagine intrise di pianto e lacrime vere, o incontri intimidatori e articoli potenzialmente pericolosi, ma andando avanti comunque tra emozioni e speranze.
Non solo la mafia, il sangue, i morti ammazzati, ma anche amici, sentimenti come la malinconia dei siciliani che, sebbene partiti dalle loro terre d’origine, come anche l’autore ha fatto,  rimangono per sempre, isolani; oppure la dolcezza del mondo contadino in cui Cerasa è nato e ha trascorso l’infanzia.
“E il racconto si snoda attraverso amori, passioni, riti irrinunciabili, violenze inaudite, diritti calpestati, bagliori rivoluzionari, storie letterarie non sempre scritte eppure raccontate con forza e lirismo”(da Nino Aragno Editore)

Giuseppe Cerasa  dall’età di 14 anni ha avuto solo l’ambizione di fare il giornalista, perché ha sempre amato raccontare la vita, i misteri e le bellezze della sua Sicilia e della meravigliosa Italia. E forse c’è riuscito, passando dal Giornale di Sicilia all’Ora e per arrivare a Repubblica, dove ha diretto per 18 anni la cronaca di Roma del quotidiano fondato e diretto da Eugenio Scalfari, dopo una lunga esperienza al vertice della cronaca nazionale. Si è divertito a ideare e realizzare il format delle Guide di Repubblica che in 20 anni sono riuscite a diventare un magazine completo per narrare le storie, gli itinerari e gli angoli più sorprendenti del Paese.  Nel 2018 è stato insignito all’Università La Sapienza di Roma della laurea honoris causa in Giornalismo e comunicazione multimediale.(da Nino Aragno )

CITTÀ E FUTURO. A cura di Roberto Besana e Roberto Poli

Contributi di

Gabriella D’Elia, Giulia Fasoli, Safaa Mataich, Fabio Millevoi, Elena Petrucci, Carlotta Poli, Roberto Poli, Silvia Rigamonti, Mattia Rossi, Stefania Santilli

Fotografie di

Diego Bardone, Roberto Besana, Cesare Salvadeo

Töpffer per Oltre Edizioni

Le città devono essere capaci di gestire le molte trasformazioni in maturazione e per farlo serve una classe dirigente capace di guardare lontano, di capire le trasformazioni in atto, di realizzare progettualità innovative, di coinvolgere i cittadini nel disegnare i loro futuri. Ecco perché questo libro non è solo sulle città, ma sui futuri delle città. Non è e non vuole limitarsi a una descrizione dell’esistente ma, a partire da spunti offertici dalle fotografie (del presente!), cerca di proporre alcune ipotesi di lettura dei cambiamenti possibili che si verificheranno nelle città italiane nei prossimi decenni.  Gli autori, con questo lavoro, presentano un’occasione di reframing, un modo di vedere, con uno sguardo diverso, un tema altrimenti noto, per scoprire indizi che potrebbero suggerire nuove vie di azione, possibili speranze dove altrimenti si vedono solo profezie negative. Ovviamente, un libro può suggerire, ma non può in alcun modo sostituire un vero e proprio esercizio di futuro.

In poco più di diecimila anni – un battito di ciglia nella storia dell’homo sapiens – siamo passati da micro-gruppi di cacciatori nomadi a megacities. In questo volume non parleremo di megacities – fenomeno prevalentemente asiatico e africano – né di sprawls – le città diffuse tipiche degli Stati Uniti. Sono due modi abnormi di usare lo spazio in cui ovunque si giri lo sguardo e per decine di chilometri ci si trova sempre all’interno di contesti urbanizzati. Fortunatamente in Europa ne abbiamo pochi esempi. Ci occuperemo invece di piccole e medie città – diciamo fra i trentamila e il milione di abitanti. Si tratta delle città in cui vive la grande maggioranza dei cittadini italiani (ed europei). Queste città non sono né troppo grandi né troppo piccole. Offrono i vantaggi del vivere in un contesto urbano senza imporre i costi supplementari legati agli sviluppi abnormi dell’urbanizzazione, che sia intensiva come nelle megacities o estensiva come nelle sprawls. Anche se pochi se ne sono accorti, i primi anni di questo secolo hanno incluso un momento di svolta: per la prima volta nella storia dell’umanità il numero dei cittadini ha superato il numero dei campagnoli. La tendenza verso un ulteriore aumento delle persone che vivono in contesti urbani continua e le Nazioni Unite si aspettano che per il 2050 tre quarti della popolazione mondiale vivrà in contesti urbani. Questo unico dato – ci sono e ci saranno sempre più cittadini – spiega perché ha senso pensare a un libro sulle città e sui loro futuri: perché riguarda la maggior parte di noi. (Dall’introduzione di Roberto Poli)

GLI AUTORI

Gabriella D’Elia. Ingegnere, Responsabile attività di Processes, Monitoring & Demand della Direzione Consumer presso TIM. Senior ICT Manager, Innovation Manager. Consigliera di Amministrazione presso Telsy, azienda del gruppo TIM specializzata in soluzioni di cybersecurity. Dopo aver conseguito il Master in Previsione Sociale presso l’Università di Trento, coltiva studi e metodi per lo Strategic e il Corporate Foresight.

Giulia Fasoli. Laureata in Gestione delle Organizzazioni e del Territorio è ora assegnista di ricerca presso l’Università di Trento. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul tema del governo anticipante nella Pubblica Amministrazione e sulla valutazione delle attività di futuro.

Safaa Mataich. Approda ai Futures Studies da una carriera accademica scientifica e da un percorso professionale come educatrice nei servizi di riabilitazione psichiatrica e di marginalità. Utilizza la Futures Literacy ed i metodi degli Studi dei Futuri per aiutare organizzazioni ed individui a gestire l’incertezza, collaborando con team multiprofessionali.

Fabio Millevoi. Nasce a Trieste, città dallo sguardo presbite, nel 1958. È Direttore di ANCE Friuli Venezia Giulia per professione e futurista per necessità. Consegue la laurea in giurisprudenza nella sua città e il Master in previsione sociale a Trento. Docente a contratto in Futures studies e Sistemi anticipanti nel Dipartimento di Ingegneria e Architettura dell’Università di Trieste. Vice Presidente di INARCH Triveneto. Ideatore e responsabile del Laboratorio dell’immaginazione delle Costruzioni Future (LICoF) promosso da ANCE FVG e da Area Science Park Ente Nazionale di ricerca. Autore di “Breve storia sui futuri della casa” (Graphe.it edizioni).

Elena Petrucci. Come futurista si occupa di formazione e consulenza nell’ambito dei Futures Studies e dell’Anticipazione. Si occupa di ricerche di settore e di individuazione di segnali di cambiamento che possono trasformarsi in opportunità. Facilita gruppi di lavoro a supporto di attività di Strategic Foresight (esercizi di futuro complessi).

Carlotta Poli è Storica dell’arte specializzata in Storia dell’Arte Contemporanea. Lavora come consulente strategica e content curator per realtà artistiche, tech ed editoriali. Si è avvicinata ai Futures Studies all’Università di Trento con il Master in Previsione Sociale (2021-22), con una tesi sul sistema dell’arte contemporanea italiana nel 2040, la Winter School, Futures Literacy & Foundations of Futures Studies (2022) e la Foresight Masterclass “Il futuro della comunicazione” dell’Institute for the Future di Napoli (2023).

Roberto Poli. Professore ordinario all’Università di Trento, Direttore del Master in Previsione sociale, il primo master di studi di futuro in Italia. Titolare della Cattedra UNESCO sui sistemi anticipanti. È nella lista Stanford degli scienziati più citati. Ha scritto Lavorare con il futuro (Egea 2019) e curato l’Handbook of Futures Studies (Elgar 2024).

Silvia Rigamonti. Economista per formazione, umanista per vocazione. Dopo una carriera nell’M&A internazionale – tra l’euforia dell’avvento di Internet e le crisi Lehman Brothers & derivati – da un decennio si occupa di coaching, mentoring e sviluppo dei talenti nelle organizzazioni. Grazie alla sua start-up innovativa Hacking Talents SB contribuisce a liberare il potenziale delle persone per un mondo del lavoro al passo coi tempi. Master in Previsione sociale all’Università di Trento e docente presso LIUC Business School.

Mattia Rossi. Vocazione umanistica, esperienza manageriale, lavora come executive e business coach ICF (credenziale PCC) e facilita esercizi di futuro per organizzazioni e individui. Esplora i futuri possibili all’incrocio di umanità e tecnologia, tra realtà virtuale e simulazioni, biohacking e cyborg. Master in Previsione sociale all’Università di Trento, Master in Filosofia del Digitale e Intelligenza Artificiale all’Università di Udine.

Stefania Santilli.  È avvocata e designer di servizi legali; si occupa della tutela e della promozione di comunità inclusive e della valorizzazione di policy per il rispetto della diversità, con una visione orientata alla ricerca di futuri preferibili e strategie anticipanti per la loro realizzazione. Nel 2020 è stata inclusa nella lista di esperti Sogi del Consiglio d’Europa nel campo dei diritti umani sociali ed economici – revisione legislativa e politica. Masters in Previsione sociale all’Università di Trento e Design dei Servizi presso il Poli.design di Milano.

I FOTOGRAFI:

Diego Bardone. Si avvicina alla fotografia a metà degli anni ‘80, collaborando con il Manifesto e due piccole agenzie per alcuni anni.  La strada è il suo habitat naturale, la semplicità dello scorrere della vita di tutti i giorni ciò che ama ritrarre, usando il BN come mezzo espressivo d’elezione. Al suo attivo diverse mostre, personali e non, e pubblicazioni su alcuni magazine fotografici, italiani e internazionali. Libri: Street life Milano, Edizioni del Foglio Clandestino, 2018 Strange days, 2021 Indigo – Oltre le apparenze, (coautrice Maria Grazia Scarpetta), Massimo Fiameni Design, 2021

Roberto Besana. Un lungo passato da manager editoriale giunto sino alla Direzione Generale della De Agostini, coltiva la sua passione per la fotografia operando per lo sviluppo e realizzazione di progetti culturali attraverso mostre, convegni, pubblicazioni.   Le sue immagini sono principalmente “all’aria aperta”, dove lo portano i passi. Ambiente e paesaggio sono i suoi principali filoni di ricerca. I suoi lavori fotografici sono presenti in libri e quotidiani, siti web, riviste. Al suo attivo innumerevoli mostre personali e collettive. Dirige o collabora alla realizzazione di eventi e festival culturali. Membro del comitato scientifico del periodico culturale Globus, curatore editoriale della collana “Fotografia e Parola“ di  Oltre Edizioni, ha una rubrica fissa sui periodici .eco,  Educazione sostenibile, NOCSensei

Cesare Salvadeo. Si avvicina alla fotografia fin da piccolo e cresce come autodidatta, aiutato tecnicamente da un anziano fotografo negoziante. Dopo un breve periodo trascorso nel circuito dei concorsi fotografici, dove peraltro ottiene riconoscimenti nazionali e internazionali, approda ad un suo linguaggio più specifico affrontando reportage a sfondo sociale e la fotografia di strada. La sua prima mostra personale, nel 1972, è incentrata sul tema del mondo contadino che sta ormai scomparendo. Contemporaneamente lavora sul genere Street photography e su questa tematica allestisce numerose mostre personali che trovano eco sulla stampa specializzata. Espone in Cina nel 2015 e nel 2021 al Festival Internazionale di Lishui. Si occupano della sua attività le maggiori testate giornalistiche e la TV.

“Avevo un posto andato in fumo”, a cura di Maria Grazia Camilletti

Nelle testimonianze di tredici sigaraie della Manifattura Tabacchi di Chiaravalle, raccolte dall’autrice nel 2007, in occasione dei 250 anni dalla nascita della fabbrica, la storia di donne che hanno avuto per quaranta anni, dal 1940 al 1980, un ruolo fondamentale nella produzione di sigari e sigarette, ma sono state anche al centro di una trama di affetti familiari e di amicizie tra donne.[…](dal Catalogo Edizioniae)

Una storia di lavoro, una storia al femminile legata a quella di una fabbrica, la manifattura Tabacchi di Chiaravalle (Ancona). Una raccolta di testimonianze orali di Storia e di storie personali queste ultime raccontate dalle protagoniste nel ricordo di quanto vissuto che aveva il sapore dell’emancipazione attraverso una conquista economica rispetto a quello degli uomini in una terra povera e arraetrata che offriva loro bracciantato o mezzadria.

Ma anche una storia di lavoro faticoso sostenuto dall’orgoglio per un’esperienza esemplare fatta di conquiste come quella contro il cottimo, imperante nella fabbricazione dei sigari, e di un nido nel riconoscimento del diritto ad essere madre e operaia pur nello sfruttamento di maestranza femminile  e di scarsa istruzione.

Testimonianze dirette di donne attive nella fabbrica dal 1940 al 1980 e raccolte dal 2007 dalla curatrice, la storica Maria Grazia Camilletti

Brevi note biografiche

Maria Grazia Camilletti ha insegnato per vent’anni italiano e latino nei licei, poi si è dedicata alla ricerca storica, in particolare alla storia di “genere”, presso l’Istituto per la storia del Movimento di liberazione nelle Marche, di cui è stata presidente dal 1996 al 1999. Ha fatto parte della redazione e del comitato scientifico della rivista “Storia e problemi contemporanei”. Ha pubblicato diversi saggi su riviste specializzate e per “I quaderni” dell’Istituto Gramsci Marche ha curato il numero “Le donne raccontano: guerra e vita quotidiana. Ancona 1940-1945″. Impegnata politicamente prima nel Pci, poi Ds, Pds e Pd, è stata consigliere comunale, poi assessore per due mandati. Per più di cinque anni ha tenuto lezioni per il corso “Donne e Istituzioni” organizzato dall’Università di Camerino.( da Edizioniae, autore)

1 maggio festa dei lavoratori

celebrata in molti paesi del mondo già dal 1889

L’origine è legata alle lotte sindacali per il diritto alla giornata lavorativa di 8 ore. Il 1° maggio del 1886 fu indetto da parte dei sindacati statunitensi uno sciopero generale. A Chicago avvennero violenti scontri con morti e feriti. Negli anni successivi furono molte le dimostrazioni per ricordare le vittime e per rivendicare i diritti dei lavoratori. Al Congresso internazionale di Parigi del 1889, dove fu istituita la Seconda internazionale socialista, pertanto venne scelta come data simbolica per la Festa internazionale dei lavoratori. In Italia fu introdotta l’anno dopo. Durante il Fascismo, nel 1924, venne istituita il 21 aprile una diversa festività con la denominazione Natale di Roma – Festa del lavoro; il 1 Maggio fu ripristinato alla fine della guerra.

Younis Tawfik ” L’ISIS raccontato da mia madre”, Oligo Editore

OLIGO EDITORE

Mosul, 2017. Gli uomini dell’ISIS lasciano la seconda città dell’Iraq dopo tre anni di barbarie. Prima, solo poche videochiamate, permesse da una connessione internet incerta, sono state l’unico fragile filo a unire Younis Tawfik, trasferitosi a Torino nel 1978 per imparare la lingua di Dante, e la sua famiglia, ostaggio del fanatismo. Dallo schermo del pc, la mamma racconta di uccisioni sommarie, segregazioni, discriminazioni.

Il Paese laico e multiculturale degli anni Settanta è un ricordo lontano. L’autore, tra i maggiori esperti di Medio Oriente in Italia, mostra senza veli le ferite provocategli dal terrorismo in prima persona, mettendosi a nudo in pagine dolorose che raccontano dell’uccisione di suo fratello per mano di al-Qaida o di tutte le sofferenze sopportate dalle sue sorelle in patria; non prima, però, di avere tracciato un efficace quadro storico per comprendere le radici ideologiche e culturali dello Stato Islamico, sorto sulle ceneri del sogno pan-arabo e con l’illusione di riscattare le sconfitte dell’antico califfato abbaside.

Morire per una giusta causa potrebbe essere un’impresa nobile. Sicuramente scioccante, ma qualcosa che possiamo accettare. Tuttavia nessuna fede raccomanda di uccidersi togliendo la vita a un altro essere umano. Nella loro essenza, nel loro più autentico messaggio spirituale, le tre religioni monoteiste propongono valori morali elevati e un annuncio di autentica salvezza per l’uomo che non contempla mai la possibilità di annientare l’altro, il diverso, il quale invece deve essere sempre accolto e riconosciuto come membro della grande famiglia umana. Le tre religioni amano talmente la vita da vietare persino la possibilità di togliersi la propria, figuriamoci quella degli altri. Certo, un uomo di fede può avere dei dubbi sulla propria esistenza, può impegnarsi a smascherare gli idoli – anche quelli del nostro tempo – ma non può mai arrivare a giustificare azioni violente, tantomeno quelle nichiliste dei moderni kamikaze jihadisti. Per parlare di ISIS, di quello che è successo e che sta ancora accadendo in terre solo apparentemente lontane dal nostro Paese, voglio partire proprio da qui. Da una coppia di parole: Jihād e kamikaze.

YOUNIS TAWFIK è nato a Mosul, in Iraq. Nel 1979 si trasferisce a Torino dove nel 1986 si laurea in Lettere, per poi dedicarsi alla divulgazione della letteratura araba (traducendo autori quali Gibran) e collaborare come opinionista a testate come “Repubblica”, “Il Mattino” e “Il Messaggero”. Attualmente presiede il Centro culturale italo-arabo di Torino “Dar al-Hikma” ed è membro della Consulta islamica in Italia. Ha pubblicato libri di poesia e vari saggi e romanzi, soprattutto per Bompiani. Da La straniera (2000, vincitore del Premio Grinzane Cavour) è stato tratto l’omonimo film con la regia di Marco Turco. Per Oligo ha pubblicato La sponda oltre l’inferno (2021, secondo classificato al Torneo Robinson di Repubblica).

Federica Falzone “Qualsiasi cosa accada, tu scrivi”, CN Oligo Editore

Questo libro non è il racconto della malattia ma uno scrigno di osservazioni sulla curaLa gentilezza, lo sguardo alla storia di ciascuno è fondamentale. Quando tutto inverte la rotta, qualcosa di essenziale rimane ed è necessario custodirlo.

Un libro intenso che affronta una malattia ancora troppo poco conosciuta

Con una lettera di Marco Trabucchi

CN (Oligo Editore)

In libreria il 19 aprile

Il diario appassionato e pieno di speranza di una psicologa clinica, che si trova dall’“altra parte”, a vivere su di sé l’esperienza della malattia. Ma la scoperta della sclerosi multipla non abbatte Federica, che riesce a fare della fragilità il punto di forza della nuova se stessa. Il libro si conclude con una lettera di Marco Trabucchi, già presidente dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria. Cosa accade a una psicologa clinica che scopre di dover combattere una grave malattia?

Incipit

«Continuo a ripetere nella mia mente, in silenzio, con fermezza nei pensieri: “Io ho la sclerosi multipla, io ho la sclerosi multipla”. Lo faccio mentre lascio lo sguardo tra il cemento e la cupola di una chiesa che non riconosco, lo faccio mentre aspiro questa sigaretta che non dovrei fumare, sul terrazzino dell’ospedale che da qualche giorno è diventato la mia casa e dove comincio a riconoscere i passi nel corridoio, i tempi del mattino, i suoni dei carrelli, il cambio delle luci. Continuo a ripetere “Io ho la sclerosi multipla” e quel pronome assume un peso notevole, perché stavolta quella malattia parla a me. Sembra passato tanto tempo da quando ho deciso di non sottovalutare i sintomi, i formicolii, le parestesie, l’addormentamento degli arti, i dolori, i problemi alla vista. Sembrano essere trascorsi mesi, eppure solo pochi giorni fa mi presentavo al pronto soccorso in bici, con la mia borsetta; io che ho sempre evitato medici, visite, controlli, stavolta capisco di non poterne più fare a meno. Mi sembra così poco, perché è stato tutto rapido e improvviso. Mi sembra così assurdo perché l’ultima foto presente nella galleria del mio telefono era stata scattata ore 10 prima sulla costa ligure, ero lì sorridente e inconsapevole, camminavo senza sapere che le mie gambe stavano già per cedere».

Nota al testo di Federica Falzone: 

«La scrittura è stata sempre centrale nella mia vita. Dopo la diagnosi trasformare in pagine ogni emozione è stato naturale, condividerle è stato più difficile. Romanzi e poesie precedentemente pubblicati non contenevano così tanto di me. Questo volume non è il racconto della malattia ma uno scrigno di osservazioni sulla cura. Stare “dall’altra parte” ha reso ancora più profonda la certezza del mio lavoro di ogni giorno da psicologa: la gentilezza, lo sguardo alla storia di ciascuno è fondamentale. Quando tutto inverte la rotta, qualcosa di essenziale rimane ed è necessario custodirlocoltivarlo. Intrecciare le mie parole alla lettera del Professor Trabucchi è stato un privilegio. Attraverso la sua professionalità e umanità ho modellato gran parte del mio senso di cura»

Nota del Professore M. Trabucchi:

«La lettura del testo della dottoressa Falzone mi ha ricordato alcune parole chiave che caratterizzano il mio impegno professionale: la fedeltà alla persona che soffre, il dovere di sviluppare la ricerca per combattere la sofferenza, l’attenzione alla complessità che caratterizza la vita di ognuno, in particolare quando la malattia ne diviene compagna dolorosa, l’impegno per un’accurata formazione di chi è al servizio delle persone fragili nella famiglia e nei servizi. Per tutto questo, grazie dottoressa Federica».

Federica Falzone è psicologa clinica. Si è laureata a Palermo con una tesi su attaccamento e trauma e ha conseguito un master in psicogeriatria. Lavora dal 2019 presso la Fondazione Madonna della Bomba Scalabrini di Piacenza. Si occupa di sostegno psicologico e di formazione. È autrice di articoli a scopo divulgativo, racconti e romanzi. Il suo ultimo libro è Il mare che ci abita dentro (TraccePerLaMeta 2023) www.federicafalzone.it

Voland, le novità in libreria marzo/aprile 2024

Scritti tra Mosca, Berlino, Praga e Parigi, i taccuini dell’emigrazione accompagnano Marina Cvetaeva dall’animazione della bohème artistica berlinese al fecondo periodo boemo, dai lunghi e difficili anni francesi al ritorno in Unione Sovietica. In questi schizzi furtivi e toccanti tra prosa e poesia seguiamo la nascita e la crescita dell’amato figlio Georgij, il trasformarsi della primogenita Alja in un’adolescente, i tentativi di far quadrare il sempre più misero bilancio familiare, l’evoluzione del rapporto epistolare con Pasternak e le riflessioni sul destino della Russia lontana. 

Nel suo incontro sempre estremo con la parola, Cvetaeva ci regala un testo ipermoderno, in cui arte e vita si compenetrano.

Nata a Mosca nel 1892, MARINA CVETAEVA è una delle voci fondamentali della poesia russa. Nel 1910 pubblica a sue spese la prima raccolta di versi, cui seguono negli anni saggi poetico-critici, prose autobiografiche e memorialistiche, pièce teatrali, traduzioni dal francese e dal tedesco. Lasciata l’Unione Sovietica, vive a Berlino, Praga e Parigi. Nel ’39 decide di rientrare in patria. Evacuata dopo l’invasione tedesca della Russia, pone fine ai suoi giorni il 31 agosto 1941. Di Cvetaeva Voland ha pubblicato Le notti fiorentine (2011), Taccuini. 1919-1921 (2014) e Ultimi versi. 1938-1941 (2021).

La traduttrice

PINA NAPOLITANO oltre ad essere pianista, docente e musicologa, vanta un respiro intellettuale  che le ha permesso di specializzarsi in lingue dell’Europa Orientale e di essere traduttrice letteraria dal russo. 

Una giovane donna sulla trentina, rassegnata ai propri fallimenti e con la sola passione per le serie poliziesche, viene costretta dalla madre a raggiungere un remoto villaggio per partecipare al funerale di zia Stana, morta soffocata da un pezzo di pollo. L’improvvisa dipartita della zia, rischiando di mandare a monte la vendita della casa e del terreno di famiglia, catapulta la ragazza in una serie di situazioni folli e grottesche, tra strade di campagna melmose, tentativi di suicidio, infermiere furiose, poliziotti indolenti e scorte segrete di alcol…Una rocambolesca cronaca familiare che è anche il ritratto tagliente e critico della società bosniaca del dopoguerra.

Nata a Banja Luka nel 1981, SLAĐANA NINA PERKOVIĆ ha    
lavorato come corrispondente per i media nell’ex Jugoslavia, i suoi articoli sono apparsi anche su molti organi di stampa europei. Ha pubblicato la raccolta di racconti Kuhanje [Cucinare] e il romanzo Il funerale di zia Stana (titolo originale U jarku) – già uscito in Francia e in fase di traduzione in Bulgaria e Germania – insignito di una menzione speciale dal Premio dell’Unione Europea per la letteratura 2022

La traduttrice

MARIJANA PULJIĆ (1995), laureata in Balcanistica all’Università  Ca’ Foscari di Venezia, è membro attivo dell’iniziativa culturale Venezia legge i Balcani e cultore della materia presso la cattedra di Lingua serba e croata a Ca’ Foscari. Traduce da bosniaco, croato e serbo.

Florence Macleod Harper “Addio Russia!Una testimone della rivoluzione del 1917” Lorenzo De’ Medici Press

Il racconto della Rivoluzione russa dalla voce di una delle prime giornaliste straniere inviate sul campo

Traduzione di Mariana Tudorache

Lorenzo de’ Medici Press

Per la prima volta in traduzione italiana il racconto della rivoluzione russa del 1917 attraverso le parole della giornalista canadese Florence Macleod Harper. Inviata a San Pietroburgo nel dicembre del 1916 dal settimanale «Leslie’s Weekly», Harper fu testimone diretta e cronista dello scoppio della rivoluzione e di ciò che accadde fino alla presa del potere dei bolscevichi. Nel suo resoconto si mescolano le impressioni di una giovane inviata speciale al confronto con uno dei più drammatici rivolgimenti della storia e tutto il sapore di una scrittura sempre freschissima e ironica, veritiera e intensamente partecipata. Il suo resoconto è una delle pochissime testimonianze di una donna di quanto accadde in quei mesi, fra cortei, scioperi, scontri a fuoco, carestie e tragedie al fronte. Rimasto quasi dimenticato per decenni, riporta oggi alla lettura tutto il sapore di un periodo storico che avrebbe cambiato la storia.

Introduzione

Sono stata fortunata ad arrivare in Russia durante il vecchio regime, trovarmi lì durante l’inizio di quello nuovo. Ho detto che sono stata fortunata. Non era fortuna; era solo un semplice «presentimento» scozzese. Quando salpai da Vancouver nel dicembre del 1916, c’erano molti altri posti più interessanti della Russia dal punto di vista delle «notizie» ma il mio «presentimento» era troppo forte. Convinsi il «Leslie’s Weekly» del mio punto di vista, e così, chiudendo le credenziali nella mia vecchia sacca, iniziai questo viaggio interessantissimo. Le mie istruzioni erano di lavorare con Donald C. Thompson, il fotografo di guerra dello staff del «Leslie’s». Di conseguenza, rimasi con lui durante molte sommosse e combattimenti di strada, nonché durante le visite al fronte. Durante i nove mesi in cui mi trovai in Russia, le condizioni furono pessime per tutto il tempo. Il cibo era scarso e di qualità mediocre e dovetti sopportare molte cose sgradevoli. Ma ne valse la pena. Dimenticammo tutti i disagi nell’osservare la tremenda, pietosa tragedia che si rappresentava davanti ai nostri occhi. Per tre anni l’esercito russo combatté in condizioni inimmaginabili per il popolo americano […] Non c’erano ambulanze per portare i feriti agli ospedali. Erano meno di seimila su un fronte di milleduecento miglia, mentre in Francia c’erano sessantamila ambulanze su un fronte lungo un quarto. Quando gli uomini arrivavano agli ospedali si verificava una pietosa mancanza di rifornimenti, che causava morti e amputazioni inutili. I vagoni merci usati come treni-ambulanza rendevano impossibile assistere gli uomini lungo il percorso. La storia dei tre anni di lotta della Russia è una storia di un paziente eroismo contro un tradimento della peggior specie (F.M.H).

Florence Macleod Harper (1886-1946) era una giornalista e inviata speciale di appena 27 anni al momento del suo viaggio in Russia. Fu una delle pochissime donne presenti ai fatti. Inviò articoli di cronaca per il proprio settimanale e descrisse solo quanto poteva osservare direttamente con i propri occhi. Non si conoscono molti altri dettagli della sua vita dopo il rientro in Canada e solo la ricerca storica più recente ne ha riscoperto il libro come una delle fonti più autentiche e attendibili sulla rivoluzione russa e forse anche l’unica ad aver testimoniato anche quanto accadde, in quei mesi, sui campi di battaglia del fronte orientale.