Marcello Lombardi “Senza esclusione di polpi”, presentazione

“Una raccolta di racconti umoristici nei quali, mediante una narrazione ironica, a tratti grottesca e surreale, […] ci si imbatte in un medico che, tradendo le attese, esegue correttamente un intervento chirurgico; in un ragazzo che, con la collaborazione del genitore, tenta di
sbarcare il lunario con il crimine ottenendo un esito tragicomico; in un soldato della Seconda guerra mondiale che, con le sue paradossali peripezie, decanta l’assurdità della guerra; in un fantaprocesso celebrato in uno studio televisivo dove il dramma di un terremoto viene oscurato dall’imperante spettacolarizzazione mediatica; in una coppia di
coniugi litigiosi che credono di vivere nella realtà ma che si ritrovano, a loro insaputa, nella fiction; ecc..[…]
(dalla sinossi)

Youcanprint Edizioni

Alcuni stralci

[…] “I vecchi sono più sicuri e rendono di più” sentenziò, con aria da docente universitario, il criminale.
Sono più sicuri perché non hanno forza, perciò non oppongono resistenza alle minacce. Rendono di più perché hanno una entrata certa. I giovani non sono sicuri perché potrebbero reagire e poi non rendono niente. Trovami un giovane che ha una paga fissa. Da noi i giovani o sono disoccupati o lavorano quando capita e chissà per quanto tempo, per di più con salari da fame. E tu cosa speri di ricavarci dal rapinare un giovane? Non rendono. Ecco tutto!! Maledetto lavoro a singhiozzo… Perciò ti ho detto di stare attento. Di questo passo non potremo mai rapinare i giovani neanche quando saranno diventati vecchi perché, con la precarietà che tira, alla pensione non ci arriveranno. Quindi dobbiamo stare attenti alla salute dei vecchi. Ognuno di loro che muore è un’entrata di meno. E per compensare la perdita di quell’entrata siamo costretti a rapinare più volte la stessa persona. A loro, poi, non conviene parlare perché noi gli facciamo avere, grazie ai nostri traffici, medicine costose a prezzi stracciati, cosa che in nessun posto al mondo gli sarebbe garantita, vero nonnetto?”
Il vecchio, legato e imbavagliato, fece di sì con la testa.

(dal racconto “Realizza un sogno”)

“Studia!” urlava mia madre “se no finisci in mezzo a una strada” continuava imperterrita. Sin da bambino quelle parole erano state la sigla iniziale dei miei compiti. Ed erano talmente assillanti che nel tempo libero riflettevo sul loro significato. Perché chi non studia finisce in mezzo a una strada? “Perché chi non studia non ha né arte né parte” diceva mia madre nel tentativo di fornire spiegazioni irrefutabili alla sua tesi. Qualcosa, però, non mi quadrava. Quelli che non studiavano e non avevano né arte né parte finivano in strada, ma non in mezzo, bensì agli angoli ed ai bordi a vendere sigarette di contrabbando. Non sarà legale, ma un’arte e una parte ce l’avevano e la sera portavano i soldi a casa. “Tu non devi portare i soldi a casa perché se studi saranno loro a venire da te” tuonava alle mie obiezioni mia madre “perciò studia e i soldi verranno da te. È solo questione di tempo, vedrai.”

(dal racconto “In mezzo a una strada.”)

Brevi note biografiche

Marcello Lombardi è nato a Napoli nel 1971. Attualmente vive in provincia di Caserta. Si è laureato in Scienze Politiche presso l’Università degli Studi “Federico II” di Napoli. Durante il periodo universitario ha coltivato le proprie passioni artistiche cimentandosi come organizzatore teatrale e scrivendo poesie che ha presentato, conseguendo significativi riconoscimenti, a manifestazioni letterarie per inediti.
Nel 2006 è stato finalista al Premio Città di Empoli “Domenico Rea”, nella sezione per racconto breve.
Nel 2019 ha pubblicato, mediante Youcanprint, la raccolta di racconti “Senza esclusione di polpi”.

La piccola collana “Racconti classici italiani” aggiunge un nuovo autore

Presentiamo ai nostri lettori una collana in fieri di racconti di autori italiani corredata da prefazioni e note:

i primi cinque volumetti:

Arrigo Boito “L’alfier nero”

Arrigo Boito “Il pugno chiuso”

Luigi Capuana “Novelle”

Grazia Deledda “La regina delle tenebre”

Giovanni Verga “Le storie del castello di Trezza”

a cui si aggiunge, al momento solo in ebook

Igino Ugo Tarchetti “Tre racconti gotici” con una premessa sulla Scapigliatura e note a cura di Alessandro Ferrini

Tutti su Amazon in cartaceo e in ebook
In ebook a 0,99

Stefano Terra “Alessandra”, Oltre Edizioni

il ritorno in libreria del romanzo vincitore del Premio Campiello nel 1974

Postfazione di Diego Zandel

Prezzo € 18.00, pag. 190

Oltre Edizioni

Il romanzo narra la storia di un diplomatico che sceglie di lasciare l’Italia per un’isola (Rodi) nelle regioni dell’Attica, e del suo triste amore per la moglie Alessandra. Il presente e il passato si alternano ed anche si mescolano dentro una scrittura malinconica e riflessiva. Al consolato giunge una lettera, riconosce la calligrafia: è di Alessandra, sua moglie «civile e legittima.», che non vede da dieci anni. Non ha il coraggio di leggerla. La nasconde. È la paura di contaminare la parte più preziosa della memoria, quella che dà senso ai suoi giorni: «La stessa paura di crollare di quando m’accorsi che Alessandra non era tornata.» Nella prosa di Terra c’è la poesia che nasce dalla indefinibilità delle cose che ci stanno intorno. Perfino i colorati mercati orientali si caricano dell’insicurezza e dell’imponderabilità della esistenza: «Forse sarà finito per me il tempo dei banchi di nebbia, degli sbarramenti nella memoria per contenere il disordine della solitudine.» Lo straniero che si sente non straniero per affinità culturale con il paese che lo ospita si confronta con la solitudine, l’amore perduto e forse riconquistato (e di nuovo perduto). Un racconto filosofico, il riassunto di una vita, la malinconia per un amore che c’è e non ci sarà più. Toni lievi e profondi insieme. Un libro da meditare per una scrittura che spesso si fa poesia.

Stefano Terra è oggi uno scrittore ingiustamente dimenticato. Ingiustamente perché è stato un grande scrittore. Lo scoprii tale proprio grazie alla lettura di Alessandra, romanzo con il quale vinse il Premio Campiello nel 1974. Non era quello il suo primo romanzo ma, confesso, io ero la prima volta, nei miei allora primi 26 anni di vita, che lo sentivo nominare. Acquistai il libro perché, avevo letto sui giornali, era ambientato in Grecia, a Rodi – ed io avevo una moglie di origine greca, di un’isola, Kos, appartenente allo stesso arcipelago di Rodi, il Dodecaneso – e alla stessa storia degli ultimi secoli. Cosa affascinava in quel giovane lettore dell’amore tra due anziani, due persone lontane dall’età, dai sentimenti che poteva provare lui? Credo che lo affascinasse il sogno di avere una vita piena come la loro, un’esistenza non comune, avventurosa, romanzesca, verrebbe da dire. Solo che quella esistenza, e il romanzo che la raccontava, a leggerlo, aveva un dono in più: l’afflato di una scrittura che afferrava il lettore alle viscere per trascinarlo dritto al cuore dalla prima all’ultima pagina (dalla Postfazione di Diego Zandel)

Stefano Terra, pseudonimo di Giulio Tavernari (Torino, 1917 – Roma, 5 ottobre 1986), è stato uno scrittore, giornalista e poeta italiano. Fu vincitore del Premio Campiello nel 1974 con Alessandra, del Premio Viareggio nel 1980 con Le porte di ferro e del Premio Scanno nel 1984 con Albergo Minerva.

Dalla bio di Stefano Terra che presenta se stesso nell’edizione Bompiani del 1974 «Sono nato nel ’17 a Torino. Provavano i motori degli idrovolanti in grandi capannoni vicino al Po. Dal fronte mio padre mandava lettere dannunziane a mia madre che non le capiva e doveva cucire in casa le asole un tanto la dozzina. Negli anni Trenta eravamo alcuni ragazzi avventurieri fra i libri rubati nelle biblioteche o stanati nei depositi per il macero. Cesare Pavese e Ginzburg più anziani e seri ci consideravano delle teste accese pericolose. Uno studente lituano ci traduceva Trotzski. Delle ragazze ebree che avevano fatto il liceo, (quello vero, che per noi irregolari pareva un tempio misterioso) ci prestavano dei libri rilegati che sapevano di chanel: Dedalus, Oblomov, I demoni. Andavamo a vedere i film di Carné alle due del pomeriggio per essere soli. Anni di manifesti rivoluzionari, riunioni segrete, amori di tutta una vita, casti come la cospirazione. Dopo tanti complotti facemmo scoppiare una bomba di carta durante un’adunata oceanica. Qualcuno di Giustizia e Libertà venne dalla Francia per un incontro segreto. La guerra ci disperse. Mobilitato per l’Albania, riuscii nel ’41 a raggiungere gli antifascisti al Cairo. Collaborai a Masses. New Leader pubblicava Morte di Italiani, i miei primi racconti, e poi usciva il mio romanzo, La generazione che non perdona, mentre Rommel si attestava a El Alamein e nel cortile dell’ambasciata britannica si bruciavano i cifrari. Scomparso Enzo Sereni, liquidato il Politecnico di Vittorini, espatriai nel dopoguerra come giornalista. Parigi e poi, per 25 anni, Balcani e Levante: interviste, guerriglie, pronunciamenti. Liquidavo. Liquidavo ogni giorno la vita con un pezzo per il giornale. Alcuni anni fa, di colpo, ho ricominciato a scrivere abbandonando il mestiere. E ho scritto La fortezza del Kalimegdan e, dopo qualche anno, Calda come la colomba. Vivo in una casa dell’Attica con eucalipti, vigna adagiata sull’argilla, gatti dalla testa piccola e le volpi all’imbrunire».