[…]In Almarina, vediamo da vicino il carcere minorile di Nisida, una ragazza romena violentata da suo padre che poi è finita qui, una donna cinquantenne che ha visto il corpo morto di suo marito, freddo, in obitorio e che qui insegna matematica, un comandante che rimane umano anche nelle mura fredde di un’istituzione. E vediamo le contraddizioni dello stare fuori – la solitudine, la rabbia, il corpo che invecchia, i ricordi e il dolore, ma anche lo splendore di una città, Napoli, che ribolle di vitalità – e dello stare dentro – rinchiusi, i ragazzi non delinquono, non si fanno uccidere, è vero, ma cosa pèrdono, cosa saranno fuori, e in che modo la reclusione li violenta? E soprattutto, di chi è la colpa se questi ragazzi sono qui?
[…]Elisabetta e Almarina s’incontrano tra le mura del carcere, e se Elisabetta non ha figli, Almarina non ha genitori. […]
Almarina è un romanzo politico, perché ci chiede sfacciatamente di chi è la colpa se un minore è in carcere, e se il carcere può salvare o meno. È un romanzo d’amore, perché stiamo tutti chiusi dentro la testa di Elisabetta, che ha perso l’uomo che amava e forse in Almarina ha finalmente trovato una ragione. È un romanzo che dice «noi» e «voi» e interroga sia quelli che giudicano sia quelli che sono giudicati.[…](Da Antonella Lattanzi tuttolibri La Stampa)