Scrittori toscani di oggi: Pina Bertoli “Infondate ragioni per credere nell’amore”

Pina Bertoli, lucchese, in questo suo romanzo racconta, sullo sfondo delle vicende di Francesco e Maria, la Versilia e Lucca dagli anni ’50 fino ai ’90.

A questo link il sito di Pina Bertoli

“Il mestiere di leggere”

dedicato ai libri, alla musica e all’arte.

A questo link la recensione su tuttatoscanalibri del romanzo da cui sono tratte le pagine presentate.


Il 30 di luglio accompagno la zia Anna a Viareggio: decido di restare un paio di giorni con lei, intanto che si sistema, poi vedrò se tornare a Lucca o no. È la sorella di mia madre, ma è molto più giovane di lei e dato che non si è ancora sposata e non ci sono più i nonni, vive con noi. Dubito che si sposerà mai, non è tagliata per fare la moglie, ha uno spirito troppo libero ed egoista per adattarsi agli obblighi imposti da un marito; a meno che un giorno non perda la testa per qualcuno, un artista incompreso, o un impostore; quello è il genere di uomini che potrebbe farla innamorare. Anche se credo che, vedendo il nostro menage familiare, le sia passata del tutto la voglia. Per noi, soprattutto per Luisa e Rossella, più che una zia, è una sorella maggiore; qui a Viareggio ha molte amicizie e le piace fare vita mondana, a casa ci passa poco tempo, non ci vediamo molto.

La grande casa di Viareggio è vuota e questo ha il vantaggio di rendermi rilassato. I ricordi legati ad essa sono come un rifugio, un luogo fisico e mentale che, al solo pensarlo, mi trasmette tranquillità; un luogo di quiete dove tutto sembra in armonia. Mia madre ama questa casa in modo viscerale, quasi esagerato; credo mi abbia trasmesso questi sentimenti perché, di tutti i luoghi legati alla storia della mia famiglia, questo posto è l’unico a cui posso associare solo ricordi positivi. Anche la sua disposizione, con il salone luminoso aperto sul giardino, dove al centro campeggia il pianoforte di mamma, i candidi tendoni che fluttuano indecisi tra l’interno e l’esterno; le camere al primo piano che si affacciano sulla terrazza, il salottino dove lei si rifugia con le sue amiche o con un buon libro da leggere: tutto è declinato al femminile, pervaso dalla dolcezza, dalla morbidezza. Le piante di eucalipti, le bouganville, le grandi ortensie azzurre che popolano il lato nord, i profumi che dall’inizio della primavera fino all’autunno inoltrato avvolgono la casa e l’esterno, ci inebriano e ci donano un buonumore spensierato. Tanto quanto l’assenza di mio padre da questo spazio a lui totalmente estraneo. Esattamente il contrario della casa in Garfagnana, la residenza di famiglia di mio padre, dove generazioni di Tolomei si sono susseguite, una stirpe di avvocati e notai che hanno sempre abitato questo palazzo massiccio, rispettati e temuti; una casa ruvida e austera come un generale, algida e incombente come la lama della ghigliottina sul patibolo, pronta a recidere qualsiasi gioioso anelito.

Così come le case in cui hanno vissuto, anche le persone dei due rami familiari sono esattamente all’opposto. La famiglia di mia madre era più incline a uno stile di vita aperto, vogliosa di godersi i piaceri della vita; un incrocio di abitudini e di atteggiamenti, essendo mio nonno lucchese e mia nonna parigina; il loro è stato un matrimonio tra due persone amanti della cultura: amici di letterati e artisti, disponibili ad ospitare chi di loro transitava in Toscana. In quella casa ho conosciuto le persone più interessanti e stimolanti e mi sembrava che fosse sempre in corso una festa. Peccato che i nonni siano morti troppo presto, a pochi anni di distanza l’uno dall’altra. Dei genitori di mio padre ho conosciuto solo il nonno Giovanni, poiché la nonna morì a venticinque anni di spagnola; un uomo arcigno che mi incuteva timore, di poche parole, soprattutto con noi bambini. Si capiva immediatamente che gli davamo fastidio e mamma, in sua presenza, ci obbligava a parlare sottovoce e solo se proprio non ne potevamo fare a meno. Passava quasi tutto il tempo nella cappella a pregare. Mio padre, in effetti, non deve avere avuto una vita felice e serena là dentro. Per quanto mi riguarda, non ci vado molto volentieri, anche se mio nonno non c’è più.

Qui in Versilia passo i pomeriggi in giardino a rilassarmi o mi siedo al pianoforte e suono per ore. Mi ritrovo a vagare con i pensieri tra il passato e il futuro; del passato almeno i contorni sono ben precisi, nel male e nel bene ha una fisionomia chiara. Il mio futuro, al contrario, mi sembra avvolto da una fitta nebbia, che difficilmente si alzerà in tempo per farmi prendere delle decisioni sensate, prima che sia troppo tardi, temo, o che, quando si alzerà, potrebbe svelare uno scenario spiacevole. Non sono più un ragazzotto che termina la scuola superiore eppure non mi sento ancora un uomo in grado di indirizzare la propria vita. Invidio quelli che hanno le idee chiare fin dalle superiori: io, in testa, ho solo delle incertezze. Mi sembra che sia troppo tardi per riprendere in mano il mio amore per la musica e farne un mestiere; devo arrendermi al fatto che con ogni buona probabilità lavorerò in ambito agricolo, ma non sono sicuro di volerlo.