Edida 2017, 120 pagine
Delitti racconta due casi affidati al commissario Bellantoni, una giovane donna alle prese con un entourage al maschile in una cittadina toscana.
La recensione di Daniela Alibrandi:
Per me, che immaginavo il commissario Bellantoni un uomo di mezza età, magari basso, tarchiato e senza capelli, scoprire che invece si tratta di una bella donna, ammirata, corteggiata e abituata a muoversi su tacchi a spillo di dodici centimetri è stata una piacevole sorpresa. E la sorpresa è presto scivolata nella lettura gradevole, coinvolgente che mi ha portato a immergermi nella realtà della provincia toscana, incantevole cornice allo svolgersi delle indagini e alla soluzione dei due enigmi, veri e propri rompicapo. La Bellantoni è dinamica, intuitiva, autorevole e severa, pur conservando quei canoni di eleganza e di charme che fanno di lei una donna affascinante. Un omicidio avvenuto al ritmo di un vecchio disco di jazz mi ha trasportato in un’atmosfera quasi nostalgica, costellata di personaggi dipinti a tinte forti e nobili. Al contrario una strana sparizione dai canali del web mi ha catapultato nella più odierna realtà virtuale, quella che spesso è in grado di sostituire sentimenti e sensazioni concrete.
E il filo conduttore che aiuta a riflettere e a sintetizzare gli elementi è Emilia, una donna di servizio che alla mancanza di cultura supplisce con un sottile acume. Seguendo le sue considerazioni e i suoi “nevvero”, è piacevole cercare di risolvere i misteri, mentre sembra di sentire il profumo dell’olio di olivo toscano spalmato sul pane appena sfornato. Un libro che consiglio vivamente.
Stralci da “Delitti. Due casi per il commissario Bellantoni”
da “Delitto al free jazz”
La pausa pranzo arrivò propizia, fermarsi, rilassarsi, pensare ad altro e confrontarsi con qualcuno che aveva stilato parte di quelle relazioni. Prese borsa e giacca e uscì quasi precipitosamente dal suo ufficio. I tacchi come sempre risuonarono sull’impiantito, più forte nel silenzio. Una porta si aprì mentre attraversava il corridoio e la testa di Giovanni Gonnelli comparve oltre l’anta rivolta verso di lei o forse verso il rumore dei suoi tacchi.
“Che fai, vai a pranzo?”
I suoi occhi azzurri si erano fermati a inquadrarla tutta in un’espressione compiaciuta. Era sempre piacevole guardare una bella donna, pensò Giovanni, muoversi con grazia anche quando i suoi passi erano affrettati.
“Sì, mi accompagni?” rispose Antonia contenta di avere un commensale e un collega con il quale dividere le sue prime impressioni.
“Solo se mi dici che hai già letto la mia relazione…” intervenne Giovanni che in realtà era già pronto e con la giacca in mano.
Alfonso Giacometti era seduto al tavolino del bar nel quale era solito sorseggiare il caffè del dopopranzo leggendo la cronaca cittadina che il locale metteva a disposizione dei clienti in più copie. L’occhio distratto controllava Bigio che legato con il guinzaglio fuori dalla vetrata seguiva annoiato il via vai quotidiano in attesa che il suo padrone decidesse di tornare a casa. Poi qualcosa attrasse la sua attenzione, poche parole: omicidio, via Oberdan, ieri mattina, la sera prima. Inforcò gli occhiali per andare a leggere agevolmente sotto l’occhiello. Capì immediatamente.
“Io c’ero” disse rivolto e con aria incredula al barista che dietro il bancone non lo aveva nemmeno sentito.
“Ti rendi conto? Capita proprio a me. Ero lì a pochi passi e poi… quella musica. Io sono un patito, l’ho riconosciuta subito! Saranno state le 22.00 o giù di lì… Giacomo, ma hai capito?”
“Cosa farfugli Alfonso, cosa devo capire?” rispose con l’aria di chi ha troppe cose da fare e non può perdersi dietro ai richiami di tutti i clienti.
“Io c’ero, ero lì a pochi passi dalla casa in cui hanno trovato un poveretto ammazzato. E forse c’ero proprio in quel momento o forse dopo o forse prima. Sono confuso…”
“E bravo Alfonso, il ”testimone”…” aggiunse con un’aria un po’ beffarda Giacomo senza smettere di riordinare il bancone.
“Sei proprio insensibile, ragazzo mio, ma ti rendi conto? Non è un film, ma una storia vera e sta capitando proprio a me”.
“Vaviava che diventi famoso! I giornali, la televisione, magari ti intervistano, chi lo sa?”
“Pensi debba andare a dirlo alla polizia?” sfuggì detto ad Alfonso che non riusciva a capacitarsi ancora del ruolo che gli era toccato. Se lui non avesse occhieggiato la cronaca, non lo avrebbe saputo mai. Quei comunicati come meteore comparivano e poi più nulla. Il malcapitato se non era conosciuto non faceva notizia e la storia finiva lì, in quel trafiletto.
da “Omicidio nel web”
Ma chi era quella fanciulla? Che volto aveva? Mi sarebbe piaciuta ugualmente se l’avessi vista dal ”vero”?
Eppure la Lucrezia senza volto era nei miei pensieri e c’era non solo con un viso, con un sorriso, con i capelli spettinati, i denti bianchissimi, ma era reale davanti a me. Avevo paura di essermi piano piano innamorato di un fantasma! Pensai che l’unica possibilità che avevo di sciogliere ogni dubbio fosse incontrarla.
Le inviai un messaggio privato chiedendole di uscire a cena con me.
Non mi rispose.
Ne fui addolorato. Molto di più che se fosse stato un rifiuto diretto. Però non mi arresi. Le chiesi allora di poter essere il suo compagno virtuale, una specie di diario parlante, una coscienza, un confessore o forse meglio, un confessionale. L’idea le piacque e riprese a scrivermi e a sciogliersi via via e a raccontarsi. Continuava inoltre a mantenere i suoi rapporti con i vari gruppi e tutte le volte che leggevo un suo intervento il cuore esultava. Alla fine avevo ricopiato tutte le sue risposte per poterle rileggere e rileggere e le trovavo sempre più interessanti, una chiave per penetrare la sua psicologia.
Poi la tragedia.
Cominciò a scrivermi in privato sempre più in modo pressante. ״Mi sento minacciata״ – scrisse – ״minacciata nella mia esistenza. Qualcuno mi odia״.
Le sue parole mi colpirono come lo può essere chi non se lo aspetti e rimasi tramortito. Cominciai a temere per lei, a cercarla spesso, a inviarle messaggi tutti i giorni e anche di notte quando, madido di sudore, mi svegliavo di soprassalto preso da incubi di cui stranamente non ricordavo quasi nulla.
Poi seguì il silenzio.
Sapevo tutto di lei, dei moti del suo animo, dei sui arguti ragionamenti, dei suoi sentimenti più reconditi, ma di lei lei, non sapevo nulla. E mai e poi mai mi era venuto in mente di indagare, sapere chi fosse oltre la sbiadita e anonima silhouette che la incorniciava sullo schermo.
Cominciò la ricerca, estenuante ricerca di brandelli di notizie.
Tutto nel suo profilo era falso… Credetti di impazzire.
Poi un messaggio, l’ultimo, quasi un appello ״Sento la minaccia sempre più vicina e temo per la mia vita!”
E poi ancora silenzio, a lungo, troppo a lungo.
Che fare? Decisi di mobilitare tutti quelli che la conoscevano e di ”cercarla” insieme.
Poi decisi di andare dalla Polizia. Una denuncia formale di scomparsa con tutti gli interventi sul web trascritti e allegati. Anche gli altri mi seguirono controfirmando la mia denuncia verso ignoti.