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Walder, Mike e Fox ancora insieme in una nuova esaltante avventura: dollari falsi, aste sospette, antichi tesori trafugati dai nazisti in fuga e una donna come intermediaria tra due continenti. Con questi elementi si scatena una caccia al di là dell’oceano a chi, grazie alla rete ODESSA, ha trovato rifugio in un Paese che pare il diorama di un piccolo borgo delle Alpi Bavaresi. Colpi di scena e una ’caccia nella caccia’ in questo secondo romanzo, dopo il successo del primo thriller “O.D.E.S.S.A. L’ora della fuga”.
Due thriller storici l’uno la continuazione dell’altro, ma a sé stanti, portano il lettore a scoprire i retroscena dell’organizzazione O.D.E.S.S.A. Il primo indaga il momento della fine imminente della guerra e della fuga dall’Europa dei grandi capi nazisti, il secondo ne segue le orme in Argentina.
Come inizia
Antefatto
Una leggera brezza di ponente tendeva la cima dell’ancora della Eloise, una motobarca di 18 metri costruita nel cantiere Baglietto di Varazze, lo stesso che aveva progettato e realizzato i MAS per la Marina Militare italiana, le veloci motosiluranti impiegate nella Seconda Guerra Mondiale.
La barca era attrezzata per recuperi sottomarini con un robusto argano a poppa e l’occorrente per le immersioni dei palombari. La luna illuminava le acque del mare appena increspate. A meno di un miglio la linea costiera si stagliava nel cielo notturno; poco più a sud si potevano intravedere le luci di Bastia. Tre uomini sul ponte attendevano che l’ultima cassa fosse issata a bordo, le altre cinque, ancora perfettamente stagnate con il simbolo della croce uncinata appena visibile sul fianco, erano già state assicurate con robuste cinghie agli anelli infissi sulle tavole del ponte.
Il mare calmo e il chiarore lunare nella notte serena avevano facilitato il lavoro dei tre uomini che attendevano in silenzio. La voce roca del palombaro che irruppe improvvisa dall’interfono infranse la quiete. Pierre e Robert, così si facevano chiamare, furono pronti all’argano: a forza di braccia issarono la sesta cassa e la sistemarono assicurandola accanto alle altre, poi iniziarono a recuperare il palombaro immerso a una trentina di metri sotto la chiglia avvolgendo il cavo cui era legato e il tubo dell’aria.
Comparve il casco giallo del sommozzatore e Francoise, il terzo uomo che nel frattempo si era avvicinato alla battagliola, impugnò la pistola e sparò due colpi diritti nella visiera. Pierre e Robert recisero contemporaneamente il tubo di aereazione e il cavo con il quale il pesante scafandro era assicurato all’argano: il corpo sprofondò e scomparve sotto la superficie nera del mare.
“Pierre metti subito in moto, abbiamo da fare parecchia strada” ordinò Francoise mentre svitava il silenziatore e riponeva la Herstall 9 mm nella fondina.
La Eloise effettuò un’ampia virata, rotta sud-sud est. Francoise spinse al massimo la manetta del gas: a 25 nodi avrebbero impiegato circa quattro ore a raggiungere il luogo dell’appuntamento, sarebbero arrivati poco prima dell’alba, salvo imprevisti.
Cinquanta miglia a largo di Bonifacio il comandante Joseph Palowskj scrutò ancora una volta il mare buio dall’oculare del periscopio. Aveva fatto fermare il sommergibile a venti metri sotto la superficie e aspettava, non dovevano essere lontani. Quando il sonar individuò il rumore di una imbarcazione in rapido avvicinamento da nord, ordinò di alzare nuovamente il periscopio e la vide giungere rallentando mentre un faro lampeggiò tre volte a prua.
“Emersione rapida!” ordinò “Macchine avanti al minimo”.
La Eloise accostò a babordo mentre i marinai la ormeggiavano a fianco dello scafo.
“Shalom” salutò Palowskj “e bene arrivati!”
“Salute a te comandante, chiediamo il permesso di salire a bordo” rispose Francoise.
“Permesso accordato. Cerchiamo di fare in fretta”.
Le sei casse vennero rapidamente trasbordate, seguite dai tre occupanti della motobarca. Prima di immergersi, la prua del sommergibile speronò la Eloise che affondò in pochi istanti.