Nadia Fusini “Una fratellanza inquieta”. Donne e uomini di oggi
Donzelli Editore, 2018, pagine 144 euro15,30
Su Amazon 11,99 in ebook
15,30 in cartaceo
Da “Il Tirreno” del 21Aprile 2018:
Nadia Fusini con acutezza e senza compromessi intellettuali cerca di scardinare lo stereotipo delle differenze di genere
Noi, donne e uomini un gioco di maschere tra il corpo e la mente
È uscito in questi giorni il libro “Una fratellanza inquieta” (Donzelli) con il quale Nadia Fusini riprende e aggiorna il discorso avviato vent’anni fa in un pamphlet dal solito titolo. Ne pubblichiamo un estratto.
di NADIA FUSINI
«Ci vuole una donna per fare un uomo», diceva mia madre. Ascoltavo queste parole da piccola, e assorbivo con esse un’idea di potenza femminile. Naturalmente, ci vuole anche un uomo, si dirà, ma è un fatto: il mistero del concepimento si concentrava allora (e si concentra tuttora per me) nel corpo femminile, quel corpo che nel parto si apre e ne esce un altro. Fosse la mia gatta, o la cagna dello zio, o la cavalla del nonno, io vedevo che ci voleva una femmina per fare un maschio. Dove fosse l’apporto maschile era un segreto, cui non mi avvicinavano certo le oscure manovre domestiche di porte che si chiudevano pesanti su ogni curiosità, più o meno morbosa. E ancora oggi, pur nella fine di ogni mistero, rimane chiaro che la partecipazione del maschio all’atto procreativo ha un carattere più limitato nel tempo e nella spesa.Per tutti il primo teatro in cui si distribuiscono i ruoli che poi giocheremo nella vita è la scena parentale. Finché avremo padri e madri, finché nasceremo in quella culla, o presepe, le regole di appartenenza alla comunità umana prenderanno le fattezze di quelle maschere. Nello spazio parentale si impara, o meno, l’obbedienza a certi ruoli. Sempre in quello spazio si distribuiscono i caratteri in ordini fondati sull’individuazione di tratti anatomici, che rimandano a posizioni di potere diverse, sì che la bambina sarà assegnata alla serie che fa capo alla madre, e in quanto femmina condividerà con lei le gioie e i dolori di quel sesso. E avrà un nome accordato a quel genere. Dalla sessualità anatomica discenderanno, oltre che delle designazioni grammaticali, certi tratti psichici. Con più o meno drammatiche conseguenze, a volte fatali, altre volte felici, si organizza così (e cioè, precocemente) il senso del destino, per noi creature fatte di corpo e linguaggio.Quasi mai lo scivolamento nella serie cui ogni nato di donna è stato assegnato è indolore. Quasi sempre qualcosa – un caso all’apparenza insignificante, un accidente che capita – ostacola il passaggio. Non c’è niente di più difficile, l’esperienza umana lo dimostra, dell’assunzione al mondo umano, ai suoi simboli, al suo orizzonte linguistico, del residuo «animale» che nel corpo sessuato si deposita. In particolare, nel corpo femminile, la cui sontuosa creatività è minacciosa evidenza di una potenza naturale che sfida il linguaggio e le sue leggi. Ma a noi donne d’oggi, mi domando, che cosa è rimasto della potenza del sesso? Che cosa ne sappiamo di quella cosa lì? del sesso in quanto natura? In noi, creature tanto postume, può davvero la natura imprimere il suo marchio tanto a fondo, che certi ormoni faranno da leva a una differente visione del mondo? Non è forse la differenza tra uomo e donna in natura ormai essa stessa un mito, una sopravvivenza arcaica? E noi uomini e donne d’oggi pallide ombre, che si aggirano in pena in un mondo larvale, private in realtà del corpo con cui godere? Avendo una volta per tutte in epoca moderna ucciso in noi l’«animale», non ci ritroviamo forse tutti, uomini donne creature niente affatto semplici, non solo una volta piegate, ma volte e ravvolte in pieghe che creano infiniti recessi e labirinti, scoprendo così che il sesso in noi non ha una voce sola.Qualora parli con una voce sola, è per declinarsi in una grammatica stentorea di generi e di ruoli tanto più stereotipi, quanto più «innaturali». Non c’è donna più «femminile» di un travestito. Del resto, perché sorprendersi? È in realtà ovvio che la maschera la indosserà al suo meglio chi finge. Ma quand’anche il corpo si agghindi in maschera, muterà l’anima? Ammesso che il dentro debba somigliare al fuori per esprimersi, se io femmina mi sento l’anima di un maschio, converrà che indossi i suoi attributi? E ammesso che io nata femmina storpiando e mutilando grazie a chirurgie più o meno estetiche arrivi a montarmi un corpo di maschio, l’anima sarà passata indenne attraverso le torture? La montatura di altri organi sul mio corpo è un cammino verso la libertà? Un assassinio dell’anima? O la sua redenzione? Io sono «donna»? Una «vera» donna? mi chiedo. E per quanto del mio carattere? E del mio sesso? O non sono, piuttosto, il risultato ibrido della mia personalissima lotta contro l’identificazione di genere, cui una certa legge dei sessi mi spinge? Di un uomo, di una donna non scopriremo l’identità più vera e profonda, proprio osservando come disattendono a certi comandi? È forse l’identità di genere una coperta che si stende su tutti e rende tutti uguali? Evidentemente non è così.L’esperienza lo prova: c’è donna e donna. E uomo e uomo. In ciascun soggetto in maniera non solo individuale, ma singolare, si coniugano corpo e mente. È un «affare» di Psiche il modo oscuro, e sempre e di nuovo da indagare, in cui la coscienza attiva scambi mai prevedibili, mai del tutto convenzionali, tra il corpo e la mente.( Da Il Tirreno 21 aprile 2018)