Stuart Turton “Le sette morti di Evelyn Hardcastle” introduzione all’intervista di Laura Crinò da La Repubblica Cultura

di Laura Crinò 

«Sono cresciuto a Widnes, nel nord dell’Inghilterra. Un luogo senza ambizioni: finivi la scuola a 16 anni, poi entravi in fabbrica e passavi la domenica al pub. Mio padre faceva il turno di notte, mia madre di giorno: si incrociavano per un’ora. Poi c’ero io, bambino. Una vicina per dieci penny mi comprava al mercatino dell’usato i libri di Agatha Christie: grandi dimore, feste, gente sofisticata. Delitti. Io chiedevo a mamma: “Cosa fanno queste persone per vivere?”. “Sono ricche” mi rispondeva. Per me non aveva senso, ma mi affascinava così tanto che l’unica storia che ho sempre voluto scrivere era questa: un mistero della camera chiusa tipicamente inglese ma capace di stupire».

Così Stuart Turton, 39 anni, racconta Le sette morti di Evelyn Hardcastle (Neri Pozza) l’esordio che conquistato il pubblico italiano: da settimane in classifica, ora è nono nella narrativa straniera. Se il suo scopo era spiazzare, l’ha raggiunto. Immaginate uno scenario alla Downton Abbey: qui la casa si chiama Blackheath ed è sufficientemente decrepita e lussuosa da far sognare una poltrona davanti al camino. Ma non c’è il tempo nemmeno di sorseggiare un brandy che la tensione sale: il protagonista, che racconta in prima persona, si risveglia nel corpo di uno sconosciuto e intuisce che qualcosa di terribile sta per accadere. Diciannove anni dopo l’omicidio del loro figliolo prediletto, i padroni di casa — i nobili Hardcastle — hanno riunito gli amici per festeggiare il ritorno da Parigi della figlia Evelyn e il suo fidanzamento con un ricco lord che ripianerà i loro debiti. Ma Evelyn muore con un colpo di pistola al ventre. Suicidio? Omicidio? Solo lo smemorato protagonista può scoprirlo. Rivivendo la stessa giornata sette volte e risvegliandosi ogni mattina nel corpo e nella mente di uno dei convitati di Blackheath.(dall’introduzione all’intervista di Laura Crinò )