Elsa Morante “La Storia”

Dalla quarta di copertina nell’edizione del 1974 anno della pubblicazione:

A questo romanzo – pensato e scritto in tre anni, dal 1971 al 1974 – e preceduto immediatamente da “Il mondo salvato dai ragazzini” (1966) che in qualche modo ne rappresenta l’”apertura” – Elsa Morante consegna la massima esperienza della sua vita “dentro la Storia” quasi a spiegamento totale di tutte le sue precedenti esperienze narrative: da “L’isola di Arturo” ( romanzo, 1957) a “Menzogna e sortilegio”( romanzo, 1948). “La Storia”, che si svolge a Roma durante e dopo la seconda guerra mondiale (1941-1947), vorrebbe parlare a tutti, in un linguaggio comune e accessibile a tutti.

Proprio questo il desiderio dell’autrice che ne decise la pubblicazione in edizione economica, ne scelse l’immagine di copertina, un cadavere tra le macerie tutto in rosso, corredata dalla frase “Uno scandalo che dura da diecimila anni” e decise di dedicare nell’epigrafe il suo lavoro Por el analfabeto a quien escribo (All’analfabeta per il quale scrivo) intendendo ovviamente la massima apertura a tutti i lettori, non solo all’ambiente letterario del suo tempo: e il suo desiderio fu realizzato dal grande successo editoriale, molto più controverso il parere della critica letteraria. Un romanzo con un titolo in cui la storia si veste con una lettera maiuscola ma è fitto di personaggi che il suo grande palcoscenico spesso inquadra tanto sono piccoli, insignificanti e umili comparse dentro il suo schermo gigante: e in prima pagina per questo cita Luca “…hai nascosto queste cose ai dotti e ai savi e le hai rivelate ai più piccoli…” Citazione che insieme a quella che la precede “Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte” vuole essere un chiaro messaggio da chi la guerra l’aveva vissuta in prima persona. E la Storia è lì, apre con i suoi avvenimenti le pagine di ciascun capitolo dedicato ad un preciso periodo, ma sono le comparse a diventare protagonisti e ad occupare tutto lo spazio, mentre la Storia resta sullo sfondo.

S.P.

“L’ultimo romanzo di Elsa Morante è un poderoso volume di 661 pagine, e il suo «soggetto» è proprio quello che dice il titolo, cioè la Storia. E difficile concepire un progetto più ambizioso di questo: ma si tratta di un’ambizione evidentemente giustificata, se la sola ambizione ingiustificata è quella di scrivere opere limitate e perfette. Illimitatezza e imperfezione sono caratteri della necessità. Illimitato il romanzo della Morante lo è, perché esso indubbiamente trasborda oltre il confine delle 661 pagine, verso immensità di temi, motivi e superfici non verbali. Imperfetto anche lo è. La Morante avrebbe forse dovuto lavorarci ancora un anno o due. Infatti non c’è dubbio che il grosso libro si divide almeno in tre libri magmaticamente fusi tra loro: il primo di questi libri è bellissimo – è straordi­nariamente bello – basti dire che mi è capitato di leggerlo nel bel mezzo di una rilettura de I fratelli Karamàzov e che reggeva mirabilmente il confronto! Il secondo libro invece è completamente mancato, non è altro che un ammasso di informazioni sovrapposte disordinatamente, quasi, si direbbe, senza pensarci sopra; il terzo libro è bello, benché molto discontinuo e con molte ricadute nella confusione un po’ presuntuosa del libro di mezzo”. (da Pier Paolo Pasolini, Descrizioni di descrizioni, Garzanti 1996)

Come inizia

Un giorno di gennaio dell’anno 1941, un soldato tedesco di passaggio, godendo di un pomeriggio di libertà, si trovava, solo, a girovagare nel quartiere di San Lorenzo, a Roma. Erano circa le due del dopopranzo, e a quell’ora, come d’uso, poca gente circolava per le strade. Nessuno dei passanti, poi, guardava il soldato, perché i Tedeschi, pure se camerati degli Italiani nella corrente guerra mondiale, non erano popolari in certe periferie proletarie. Né il soldato si distingueva dagli altri della sua serie: alto, biondino, col solito portamento di fanatismo disciplinare, e, specie nella posizione del berretto, una conforme dichiarazione provocatoria. Naturalmente , per chi si mettesse ad osservarlo, non gli mancava qualche nota caratteristica. Per esempio, in contrasto con la sua andatura marziale, aveva uno sguardo disperato. La sua faccia si denunciava incredibilmente immatura mentre la sua statura doveva misurare metri 1,85, più o meno.