Alberto Pincherle più conosciuto come Alberto Moravia, cognome della nonna paterna, nacque a Roma nel 1907 (dove muore nel 1990). Scrisse “Gli indifferenti” mentre era a Bressanone in convalescenza dalla tubercolosi ossea per cui era stato ricoverato nel Sanatorio Codivilla di Cortina d’Ampezzo. Al romanzo lavorerà a lungo e lo pubblicherà nel 1929 a proprie spese presso Alpes di Milano, tracciando un quadro della borghesia italiana di quegli anni
Come inizia
Entrò Carla; aveva indossato un vestitino di lanetta marrone con la gonna così corta, che bastò quel movimento di chiudere l’uscio per fargliela salire di un buon palmo sopra le pieghe lente che le facevano le calze intorno alle gambe; ma ella non se ne accorse e si avanzò con precauzione guardando misteriosamente davanti a sé, dinoccolata e malsicura; una sola lampada era accesa e illuminava le ginocchia di Leo seduto sul divano; un’oscurità grigia avvolgeva il resto del salotto.
” Mamma sta vestendosi “, ella disse avvicinandosi ” e verrà giù tra poco “.
” L’aspetteremo insieme “, disse l’uomo curvandosi in avanti; ” vieni qui Carla, mettiti qui”. Ma Carla non accettò questa offerta; in piedi presso il tavolino della lampada, cogli occhi rivolti verso quel cerchio di luce del paralume nel quale i gingilli e gli altri oggetti, a differenza dei loro compagni morti e inconsistenti sparsi nell’ombra del salotto, rivelavano tutti i loro colori e la loro solidità, ella provava col dito la testa mobile di una porcellana cinese: un asino molto carico sul quale tra due cesti sedeva una specie di Budda campagnolo, un contadino grasso dal ventre avvolto in un kimono a fiorami; la testa andava in su e in giù, e Carla, dagli occhi bassi, dalle guance illuminate, dalle labbra strette, pareva tutta assorta in questa occupazione.
” Resti a cena con noi? ” ella domandò alfine senza alzare la testa.
” Sicuro “, rispose Leo accendendo una sigaretta; ” forse non mi vuoi? “. Curvo,
seduto sul divano, egli osservava la fanciulla con una attenzione avida; gambe dai
polpacci storti, ventre piatto, una piccola valle di ombra fra i grossi seni, braccia e spalle fragili, e quella testa rotonda così pesante sul collo sottile.
” Eh che bella bambina “; egli si ripete ” che bella bambina “. La libidine sopita per quel pomeriggio si ridestava, il sangue gli saliva alle guance, dal desiderio avrebbe voluto gridare.
Ella diede ancora un colpo alla testa dell’asino: “Ti sei accorto quanto fosse nervosa mamma oggi al tè? Tutti ci guardavano “.
” Affari suoi ” disse Leo; si protese e senza parer di nulla, sollevò un lembo di quella gonna:
” Sai che hai delle belle gambe, Carla? ” disse volgendole una faccia stupida ed
eccitata sulla quale non riusciva ad aprirsi un falso sorriso di giovialità; ma Carla , non arrossì né rispose e con un colpo secco abbatte la veste:
“Mamma è gelosa di te” disse guardandolo; “per questo ci fa a tutti la vita
impossibile”. Leo fece un gesto che significava: ” E che ci posso fare io? “; poi si
rovesciò daccapo sul divano e accavalciò le gambe.
” Fai come me ” disse freddamente; ” appena vedo che il temporale sta per scoppiare, non parlo più… Poi passa e tutto è finito “.